Si impara da grandi. Come quasi tutto, o molto, della vita. Impari che ci sono delle canzoni che a volte ti vengono dedicate o ascolti in un momento della vita quando vedi quel pezzo di vita solo dal tuo di punto di vista, convinto che anche l’altro, o gli altri lo stiano guardando dalla stessa angolazione. Quelle canzoni diventano semplicemente delle meravigliose colonne sonore. Le tue. Ti sembrano addirittura delle dichiarazioni di amore e felicità eterni. E’ solo dopo, quando quel pezzo di vita non lo hai più, si è trasferito, ti ha lasciato, ha trovato un’altra casa o quella che aveva sempre avuto, che ti risvegli. E ti rendi conto che quel giorno, obnubilata dalla felicità e dalla meravigliosa bolla in cui ti trovavi, ascoltavi solo la musica, intesa come melodia, intesa come sequenza di note senza ascoltare, leggere ed interpretare le parole, il testo. Se lo avessi fatto, forse, forse, quelle canzoni, le avresti recepite, ricevute, lette ed interpretate per quello che erano. E forse, forse, ti saresti accorta che la tua angolazione non era l’unica, la tua interpretazione non era l’assoluta, il tuo vissuto non era anche quello dell’altro, la tua bolla era tua e non di altri e forse, forse, non avresti pensato di essere la protagonista del quadro di Marc Chagall “Capra che suona il violino” dove la capra la sposa e il violino mi hanno sempre fatto sognare una vita di amore e musica.
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