…” Ma non voglio salutarlo in questo modo. C’è un altro Giacinto che vedo sulla soglia, sorridente e controluce mentre mi dischiude la porta di qualche chiesa sconosciuta. “Entra”, mi insegna: “Quando una porta è chiusa, non ti fermare mai. Vai dritto e aprila. Lascia agli altri, se vogliono, il peso di vietarti l’ingresso. Non arrestarti, prima che te lo impongano”. Quanti portieri, quanti sacrestani ho superato seguendo il consiglio! Quanti cortili, quanti chiostri ho visto, che non avrei altrimenti visto mai! E’ così che lo voglio salutare, con questo nodo in gola che mi viene nel ricordarlo, alto, radioso, allegro, che mi fa segno di venire avanti, di non avere paura, di seguirlo, di fare come lui, in questo, “almeno in questo”.
Geologia di un padre, Valerio Magrelli
E io, il mio di padre, invece non voglio salutarlo mai. Oggi è 19 anni fa. Ieri è domani. E lui non se ne va, dalla mia testa, dal mio cuore e dalla mia pelle. La foto, nella quale spala la neve sorridente, è il sole nei giorni di neve; la foto dove ha in mano un giornale, è il profumo delle pagine di un libro che sfoglio; il ricordo di quando mi scorrazza con un plaid lungo una collina è il caldo del plaid ora sul mio divano. I miei disegni abbandonati che lui amava più di chiunque altro sono le prime tempere che mi portò a casa. L’odore che ogni tanto mi sembra ancora di avvertire è il mio bacio sulla sua guancia quando apriva la porta di casa dopo un giorno di lavoro.
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