Oggi, ieri, forse da sempre, parliamo di quanto possa servire parlare. Parlare dei nostri sentimenti come se analizzarli possa essere di aiuto a viverli. Parlare di ciò che sentiamo, quando lo facciamo con altri che non siano i diretti interessati, in realtà, ha già di per sé qualcosa di anormale. Soprattutto se analizzarli non si limita semplicemente al dire "che bello mi sono innamorata" ma "oddio mi sono innamorata" che equivale a dire che la controparte se non assente è, quanto meno, poco interessata. Ed è lì che iniziano le giornate e a volte le nottate, in cui sfiniamo il confidente di turno con i nostri “perché e per come e chissà e se ma” ed è proprio lì, dando voce ai nostri pensieri e ascoltando una voce fuori campo che ci dice semplicemente "dimenticalo" finisce tutto il “di cui” delle analisi fatte e trova fine la “grande scoperta” che avremmo voluto fare perché convinte che l'amica del cuore non solo ci avrebbe consolata ma sarebbe anche riuscita a cambiare, grazie a qualche trovata geniale o raccomandazione in cielo, la rotta degli eventi. E' il momento in cui capiamo che parlare a volte non serve proprio a nulla. O forse serve fino a quando arriviamo a capire che non serve. Restano i grazie per coloro che ci hanno ascoltato e provato a consolare. Per il resto ci deve essere solo la silenziosa dolorosa accettazione di un amore che non trova vita. E lì, alla fine delle parole, inizia il doloroso solitario silenzio.
Grazie e lei che per un lungo interminabile tempo mi ha ascoltata, mi ha dato la forza, mi ha voluto bene e che so che mi ascolterà, mi darà la forza e mi vorrà ancora bene...XXX
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