mercoledì 23 maggio 2018

Ti porto nel cuore, perché per mano non lo posso fare.”
L’ho letta oggi. Sgorga dal cuore. Va dritta all’obiettivo. Ed è così bella e struggente da fare male. Fino in fondo, nel profondo. Lacerante.
Forse l’hanno detta a noi prima di lasciarci sul ciglio della strada come se, diversamente, non fosse possibile altro. Come se lasciare dipendesse dal  qualcosa di astratto e indipendente da una scelta volontaria. Come se ci fossero delle circostanze non gestibili. Come se fosse altro oltre al “non ti voglio più”. E allora non c’è consolazione ma rabbia e dolore.
Forse la dedichiamo noi a chi non c’è più ma siamo certi ci senta, veda e viva comunque.
La vorremmo al nostro fianco, ridere, guardare, passeggiare, e non averla più a portata di mano ma solo a portata di cuore non è una definitiva consolazione. E ci arrabbiamo con la vita che ci ha strappato un pezzo di noi. La rabbia, poi, a volte, scema di fronte ad una cosa più grande di noi,  la cui responsabilità può essere diversamente imputabile ma che a tutti, prima o poi, tocca. All’improvviso o con tempo. Sentiamo allora, lentamente, molto lentamente, un tiepido sentore di consolazione. Forse perché sappiamo che, presto o tardi, quella mano la stringeremo ancora e forte. Nel frattempo ci scaldiamo il cuore. O proviamo a farlo. A lei, a me, a tutti coloro che.

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