C’è la città nella città. C’è la città che corre e suona e urla e spintona e si innervosisce e inveisce e sembra dover vincere qualche premio nell’arrivare al semaforo, rosso, qualche metro prima di te. E’ la stessa città dove alla scrivania ci sono le rivoluzioni, vere o presunte e l’essere quasi amici per poi diventare il momento dopo, acerrimi concorrenti. E’ la stessa città dove pensi di dover svuotare qualche scaffale di tutti gli ultimi prodotti, quasi potesse esserci la carestia domani. E’ la città dei cartelloni ad ogni angolo di strada, che ti catapultano al Natale e invogliano a comprare qualsiasi cosa possa essere comprabile perché "solo così sarai finalmente felice".
E poi c’è la città dei corridoi silenziosi tra pigiami, vestaglie e divise che variano dal bianco con le varie tonalità di colletto, all’azzurro e al verde. E’ quella città dove, dopo e prima aver vissuto l’altra, ti ritrovi per accudire e tenere compagnia, dove fai la barba a chi hai sempre solo visto farla, imbocchi chi non si faceva imboccare ormai da più di mezzo secolo e chiacchieri per ore di tutto e di nulla fino a quando vieni cacciata fuori perché hai superato l’orario concesso. E’ la città dove il tempo è scandito dai termometri, dall’esame da rifare o dalla fisioterapia. E’ la città dove tutto è rallentato e pacato e sussurrato e dove si cammina lentamente, le porte non sbattono, le persone si ringraziano e aiutano e tutto è così ovattato da sembrare surreale.
Vivo in entrambe correndo per arrivare in tempo, per rallentare e poi riprendere la corsa per poi essere ovunque mentre sembra di non essere da nessuna parte.
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