Due
fratelli che si devono ritrovare per una questione di famiglia e che poi si “ritrovano”
nel loro essere legati dallo stesso sangue. Il ricordo della loro infanzia, gli
odori, i sapori, il raccontare segreti celati senza un motivo che alla
distanza, una volta rivelati, hanno un dolore inaspettato, quello della
distanza nel tempo.
Lieve
e intenso, malinconico e dolceamaro. Un po’ come la vita quando inizi a vedere che
è più il tempo che è passato di quello che probabilmente avrai, senza essere
necessariamente vecchi, semplicemente sufficientemente maturi da apprezzare
tutto quello che hai vissuto con il distacco che il tempo ti dà.
“A pensarci
bene quello era un mondo dove c’erano più odori. Non so come dirlo. Odori di
ogni genere. Buoni e cattivi.”
“Secondo me la
questione è diversa. Eravamo noi a sentire gli odori perché eravamo bambini.
Abbiamo smesso diventando grandi.”
“Ti piaceva
vero? Si vedeva da come la guardavi.”
Francesco fa un
sorriso dal quale emerge, fra i bagliori delle candele, la faccia del ragazzino
di tanti anni prima. Lui non sorride molto e questa cosa mi fa una tenerezza
inattesa e lancinante.
“Da ragazzina
era insignificante. E’ diventata bella, in un certo senso.”
“E’ il tuo
genere, direi.”
“Quale sarebbe
il mio genere?”
“Con un
sottofondo pericoloso.”
“Mio fratello
mi guarda a lunga, stupito. Ho ragione e lui non capisce come faccia a sapere
questa cosa di lui.”
“Che ne sai?”
Non è una vera
domanda e infatti io non rispondo. Mi stringo nelle spalle e mi metto al
lavoro.
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