venerdì 24 agosto 2018

Sopravvalutiamo la nostra capacità di assorbimento, di resistenza, di reazione, di metabolizzazione. Pensiamo che riusciremo a non far pesare sull’altro il nostro malessere. Ci convinciamo, senza neanche raccontarcelo, educandoci alla resistenza, sottoponendo cuore e anima a sforzi indicibili, che siamo forti, che c’è la caveremo, che piuttosto che farci sollevare e pretendere, taceremo e saremo solo pronti agli altri. Ci votiamo al silenzio perché sappiamo, senza raccontarlo neanche a noi stessi, che certe situazioni, talune relazioni, si reggono sul filo sottile della sopportazione della condizione posta in essere, magari proprio da noi, o comunque da noi tacitamente vissuta come possibile. Ma poi si cammina e la vita ci passa un po’ sopra, un po’ di fianco e ci sono le ferite, le cicatrici e i cerotti che non bastano. Ci sono le aspettative e le illusioni e i sogni. E poi c’e Il cuore che insieme all’anima, senza aver chiesto il permesso al cervello, iniziano a raccontare quei silenzi, quelle intime sofferenze. E arriva il momento in cui è tutto chiaro. È tutto tremendamente più difficile. Perché sapere e conoscere è sempre più doloroso dell’ignorare. Il sapere apre scenari nuovi che ti fanno paura. Non si può tornare indietro perché la vita mentre scorreva ha trascinato anche te nel suo scorrere e tu non sei più quello di una volta e nulla sarà più come prima. Anche se tu decidessi di continuare a reggere quel sottile filo in cui eri bilico, ora il panorama è cambiato e il vuoto sotto di te molto più evidente e percepito. 


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