giovedì 9 agosto 2018

Dall’altra parte c’è la cucina –alcova del popolo, presente soprattutto nelle campagne e nella piccola borghesia. La stanza più calda della casa, dove il sabato veniva portata la tinozza per il bucato settimanale e dove si faceva il bagno. La cucina che risuona del fruscio di tessuti stirati, di pagine voltate, del russare del nonno seduto sul divano, del cicalare dei ragazzi. Questa mattina non smette mai di vivere se non poche ore a notte fonda perché l’alba è vicina e ci vuole qualcuno che lasci il caldo delle coperte per preparare la colazione per tutti. …
La gioia del riordino in cucina, Roberta Schira

L’incidente era successo e io ne percepivo la gravità. Non tanto dall’ospedale vissuto per tempo e dove ancora viveva costretta a letto la mia mamma. Lo percepivo dal fatto che pur così piccola avevo visto la nostra vita cambiare e assumere nuovi contorni, nuove presenze, nuove abitudini, nuovi ritmi.
Dalla città al paese, da mamma e papà ai nonni, da un appartamento a case su più piani, dal riscaldamento diffuso e costante alla cucina bollente di camino e le camere ghiacciate.
E stato in quel momento della mia vita che la cucina è diventata la stanza più importate e intorno alla quale tutto ruotava, o almeno il mio tempo.
Passavo da un passeggino ad una sedia di paglia bucata appositamente perché la seduta fosse più comoda e agevoli funzioni obbligatoriamente necessarie anche per una bambina, completamente ingessata dalla caviglia al busto e con la gamba piegata in una inverosimile modalità che anni dopo i medici dello stesso ospedale avrebbero disapprovato.
In cucina, rientrata dall’asilo, venivo posizionata sulla sedia davanti al camino. Dopo qualche tempo, liberata dal gesso, in cucina, venivo lavata in una tinozza di acqua calda e in cucina c’era sempre la nonna che cucinava e il nonno che tornava dall’aver “governato” gli animali, o dall’orto con pomodori e patate da pulire. In cucina transitavano le zie e i cugini che venivano ad aiutare o chiacchierare o chiedere notizie della mamma e anche di papà tornato a lavorare in città. 
In cucina il nonno dormiva in poltrona con la testa china di lato, la stufa a legna veniva alimentata con ciocchi di legno scoppiettanti, si preparavano i dolci di carnevale che poi si mangiavano fino a stare male, ancora caldi di fritto e cosparsi di archermes. In cucino venivano lavate le more e si iniziava a preparare la marmellata che iniziava a bollire e spargere profumi intensi.
In cucina si guardava l’unica televisione presente nelle case di paese. Tassativamente solo il telegiornale perché lì, in quella scatola arrivata da non molto, non c’era intrattenimento ma notizie.
In cucina, tempo dopo, quando quasi tutto era tornato alla normalità e la cucina era tornata quella di città, ho studiato, sola o con amiche, con tazze di cioccolata calda mentre la mamma transitava preparando caffè per le amiche in visita o veniva fermata perché io ripassassi la lezione. In cucina ho visto tirare la sfoglia alla mamma e preparato la panna cotta per papà. In cucina ho guardato anche la televisione con la mamma quando papà occupava la sala con i suoi programmi preferiti mentre russando rumorosamente se li perdeva completamente.
In cucina ho preparato la tavola per la colazione e nel buio delle mattine di inverno papà ed io abbiamo fatto colazione mentre mamma ci raggiungeva poco dopo.
In cucina ho trovato papà, nelle domeniche di inverno, con montagne di patate tagliate perfettamente alla julienne perché mamma le friggesse.
In cucina, nella mia cucina, da grande, mi sono ritrovata ad amare questa stanza come nessun altra. In cucina mescolo, impasto, invento, ma, soprattutto mi rilasso e ritrovo me stessa. Tornano le voci, i suoni, i profumi.  Certo, ce ne vorrebbe una molto più grande. Più che altro per accogliere comodamente tutti i fantasmi buoni di quelle giornate in quelle cucine.
Le nonne e i nonni con i loro modi rudi ed essenziali eppure amorevoli. Papà con il suo profumo di colonia. Il profumo della marmellata di more e tutti i sogni di bambina.

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