mercoledì 9 maggio 2012

Il destino è un tassista abusivo, Luca Manzi


Veramente trascinante questo romanzo, ironico, brillante, dolce, malinconico ed euforico. Tutto quello che possiamo o riusciamo ad essere noi, non più giovani per avere illusioni, non ancora vecchi per non volerci più credere. Da leggere, tutto d’un fiato, che sia una giornata di pioggia, pigramente distesi sul divano, che ci sia il sole e tu sia in un parco sdraiata su un plaid, che tu l’amore lo abbia trovato o che tu lo stia ancora cercando … Giorgio siamo noi …

… “Fu allora che vidi per la prima volta Agnese. Il soffio del suo primo sguardo abbatté la mia esistenza come la quinta di una commedia di cartellone da troppo tempo e che ormai non fa più ridere. Nel momento in cui si voltò, i cuoi occhi disegnarono una riga; come quando un dio antico e infuriato con cipiglio terribile segna una crepa nella terra, lei tagliò il mio mondo. E il suo sguardo mi divise per sempre da tutto quello che mi era successo prima.
Un’emozione liquida, sottile, impalpabile come quanto la luce in chiesa si rarefà in una nebbia albumosa passando dietro una colonna d’alabastro.
Quello che vedevo in Agnese, dietro il suo sguardo a strappi mi mancava da sempre, ma prima di incontrarla non sapevo che mi mancava, non sapevo neanche ce esisteva quella cosa. Chissà cos’era, sapevo solo che mi crollò addosso il lutto di aver vissuto fino a quel momento senza di lei, e nello stesso momento mi riempì la gioia incommensurabile di averla trovata.
La nucleosintesi dei due sguardi. Essi collassarono l’uno sull’altro, ed emerse dal criogiolo della sua anima uno sguardo nuovo: era pure energia, era come la prima onda del mare quando appena era stato creato. Diruppe come un vento stellare e mi investì violento e furioso, e a quel punto la baciai.
Ci frenò addosso la coscienza di quello che ci era successo. Eravamo stati così bene che non sembrava possibile. Ci guardammo in silenzio, mi resi conto. Non potevo tornare più indietro … era stato una corsa talmente veloce che non avevo avuto il tempo di prendere atto che era tutto irrimediabile. Che da domani mi sarei svegliato con lei. Che se la pensavo avrei potuto chiamarla. Che se la volevo vedere l’avrei fatto. Fu un’emozione fortissima. Mi prese in contropiede.
Vuoi vedere che la felicità non è qualcosa di preciso? E’ la quotidianità che si sbullona e perde i contorni perché metti a fuoco un punto preciso oltre tutto questo, un punto che hai sempre intuito ma non hai mai visto, un punto che  ricolloca tutti gli elementi della tua vita; che ora si riposano sotto una luce nuova, scanditi da una sequenza diversa. Che ti fa diventare più piccolo e leggero. Che rende ridicoli e distanti i contorcimenti che prima sembravano necessari. Qualcosa che ti cambia a tal punto che ti sorprendi a vivere, e basta.
Più vado avanti e meno capisco, e più non capire fa male. Il peso del tempo si fa grave quando hai l’impressione che vivere non serva per poter vivere meglio …
E io non so più dove guardare. Ho provato a guardare lei, a cercare nei suoi occhi sogni miei. E adesso non riesco a guardare altro.
Stai tranquillo, va tutto bene. Prendi il tuo tempo, non c’è fretta quando hai un motivo per aspettare. Mi rispose con un sorriso straordinariamente calmo, posando una mano sulla mia.
Più mi ostino a credere che arriverà in questa vita qualcosa di grande, più crederci costa un prezzo insensato. Con l’età adulta, lo stomaco dei sentimenti si fa pigro, digerire l’incapacità è sempre più lungo e penoso. E arrendersi all’idea di una vita in difesa sembra l’unico orizzonte possibile. Se riuscissi a capire dove i sta portando, se la prossima curva non fosse sempre, maledizione, avvolta dalla polvere. Forse dovrei provare a digerire questo: non capisco, non capirò mai. Forse capire non è il problema, il problema è riuscire a vivere senza capire. Forse devo imparare a non farmi domande.”

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