venerdì 8 giugno 2018

Avevano parlato spesso di cosa fosse per loro l’amore. Se lo potevano permettere perché loro non parlavano d’amore. Perché loro non parlavano di futuro. Come due amici che giocano una partita di tennis sapendo che non affronteranno mai una vera competizione, si erano divertiti per tanto tempo a palleggiare senza una coppa in gioco. E così era diventata, giorno dopo giorno, una parte delle loro conversazione, libera e aperta. Quasi a stuzzicarsi, sbizzarrendosi in ipotesi assurde e lontane, esplorando un mondo che avrebbero solo visto da lontano. Curioso e a volte divertente. Cos’era l’amore? Quali sacrifici si dovevano fare per l’altro? Era giusto farli? Ognuno in amore doveva poter restare lo stesso o doveva essere, per amore, disposto a cambiare e assecondare? E qual’ era il limite giusto tra il darsi spontaneamente dell’uno e il pretendere dell’altro? Erano amore libertà e fiducia? O piuttosto lo erano dimostrazioni, prove e concessioni? Si erano sempre trovati intimamente distanti anche quando scherzavano. Una serie di chilometri lunghi tanto quanto la loro provenienza, il loro carattere, la loro educazione, le loro poche ma significative esperienze e soprattutto il modo in cui si erano sempre affacciati alla vita. Non trovando un punto di congiunzione, ogni volta, avevano fatto cadere l’argomento perché sentivano che si sarebbero scontrati senza averne un valido motivo per cui doversi appigliare e rovinare quella passeggiata, quel parco, quel film, quel momento tutto loro che erano riusciti a rubare alla vita. Meglio godersi la reciproca presenza senza approfondire. A volte, per ridere e sdrammatizzare arrivavano a prendersi in giro ipotizzando situazioni e momenti. Farsi crescere la barba perché a lei piaceva poteva essere un segno d’amore nonostante a lui desse tremendamente fastidio? Certo. Lui lo avrebbe fatto. Comprarsi un paio di mocassini classici demodé e indossarli come fossero i suoi sandali preferiti tacco 12 e solo perché a lui avrebbe fatto piacere vederla così Certo. Lei lo avrebbe fatto. Poi un giorno era arrivato quel giorno. Il giorno in cui quell’argomento aveva preso sempre più spazio e peso e valenza e loro avevano iniziato a perdere quei film, quelle passeggiate, quei gelati, per discutere di cos’era l’amore e di quanto era misurabile in ciò che l’uno poteva avere dall’altro. E allora loro erano cambiati perché le discussioni li avevano inghiottiti e il gioco era diventato un po’ reale e anche se a quella competizione non avrebbero mai partecipato, le loro distanze avevano rotto il gioco. La fiducia a prescindere nella piena libertà era stato lo scoglio che dopo migliaia di supposizioni e qualche simulazioni non erano riusciti a superare. Si erano incagliati ed erano così andati, senza motivo, alla deriva. I film non li avrebbero più visti mano nella mano, le vie del centro non avrebbero più ascoltato le loro accese discussioni, i gelatai non li avrebbero più visti indecisi davanti alla vetrina, gli alberi del parco non li avrebbero più scorsi camminare e sedersi stanchi sotto di loro. La vita sarebbe andata avanti senza quel loro che loro avevano creduto così speciale e indistruttibile. E ogni volta che le parole fiducia e pretesa fossero apparse in qualche pagina della loro vita, loro sarebbero stati profondamente tristi perché solo loro sapevano quanto quel loro incontro era stato speciale e unico.

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