mercoledì 14 gennaio 2015

Non è stagione, Antonio Manzini

Il vicequestore Schiavone e' uno di quei personaggi che inizi a leggere la mattina e finisci la sera. Trascurando le altre altre piacevolezze della giornata che, al confronto, riescono a perdere interesse. Le righe ti trascinano nella loro scorrevolezza e non rispondi al telefono, accendi più tardi il forno, rimandi la visione di un dvd. Perché lui è tribolato, forse anche poco onesto per essere un uomo di legge, ma di una onesta' tutta sua che è quella che ha a che fare con i grandi sentimenti e l'anima. Perché lui è indisponente ma forse solo all'apparenza e più per difesa che predisposizione. Perché e' affascinante come solo chi ha una sua complessità d'animo sa essere. Perché lotta contro il fango pur sapendo che per farlo spesso si è sporcato. Perché nella sua ruvidezza non riesce a lasciare andare il ricordo di lei; lei che non fa più parte di questa vita ma con cui lui continua a parlare, vedendola aggirarsi tra le mura di casa, seduta su una panchina o andarsene nell'altra stanza in silenzio dopo una discussione. 


... "Fa male l'assenza? No, fa male la perdita. Che è altro dall'assenza. La perdita sa cosa ha perso. L'assenza può essere un vago sentore, un'emozione senza corpo e senza suono di qualcosa che manca e che non ho, ma che non so cos'è. La perdita, è quella che provo io, perché lo so. Ed è peggio dell'assenza. Perché quello che conoscevo e che tenevo tra le dita non c'è più. Non sarà più. È la stessa differenza che c'è tra Ray Charles e Steve Wonder. Steve è cieco dalla nascita, Ray c'è diventato. Ray sa cos'è vederci. Steve no. Ray ha provato la perdita. Steve l'assenza. Steve sta meglio di Ray. Ci metto la mano sul fuoco" ... 

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