sabato 1 settembre 2018

Quanto è giusto raccontare all’altro ciò che sentiamo, viviamo, vorremmo, desideriamo, sogniamo? Quanto è giusto esprimere il nostro sentire, il nostro vedere, il nostro odorare, con l’altro? Quanto ci mettiamo in gioco intimamente nel momento in cui all’altro, se altro è, non dovremmo raccontare ciò di cui abbiamo bisogno? Se fossero lui, lei, con quelle iniziali che troppo spesso restano minuscole mentre le erigiamo a maiuscole, non ci sarebbe bisogno di parole, di scritti, di spiegazioni. Dovresti avvertire in un modo, o in cento diversi, quell’appagamento che ancora rincorri attraverso il dover spiegare, cadendo nella stupida trappola del pensare che forse l’altro è semplicemente distratto e allora ha bisogno di un memo. Spesso l’istinto di conservazione e autodifesa ci porta a pensare che se non abbiamo la perfezione che vorremmo non è perché l’altro non è il perfetto per noi ma solo perché, forse, ancora, ha bisogno di una piccola guida, di qualche suggerimento, di un manuale di istruzioni, di un veloce ripasso. E allora arrivano i momenti in cui in un momento di intimità ci lasciamo andare e apriamo gli argini, e poi gli attimi in cui scriviamo quella che in passato sarebbe stata una lettera ma che ora chiamiamo messaggio. E aspettiamo lì, in silenzio, trattenendo un po’ il respiro in attesa di una risposta che, non solo sia quella di quel momento, ma che ricomprenda tutte quelle che non sono state date in passato, facendoci capire che la nostra anima gemella è arrivata finalmente al traguardo. Si è concentrata, ha capito, ora sarà per sempre come la stavamo aspettando. Ci anticiperà. Avremo sensazioni e pensieri e ancora prima di provarli perché saranno lui o lei a farle scatenare. La realtà si discosta solo leggermente e quelle risposte non arrivano puntuali né nella forma, né nella sostanza. A volte non arrivano proprio e il silenzio perdura. Ma noi, geneticamente modificati, stregati dall’amore, continuiamo a credere che non sia possibile essersi sbagliati.
Se abbiamo detto, ci verrà detto. E’ solo sicuramente un problema tecnico. Se abbiamo dato, ci verrà dato. E’ ovviamente un problema in via di risoluzione.
Quanto sarebbe più semplice riconoscere che l’altro e non quel pezzo di mondo che noi speravamo fosse quel pezzo di braccio che ci mancava? Quanto sarebbe più sano allontanarci da certe situazioni a costo di soffrire nell’immediato ma per poi godere magari anche soli di un silenzio che sia silenzio di pace e non da riempire?

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